Forse non tutti conoscono L’Eroica, ma già il suo nome dà l’idea di un’impresa epica. Non è una gara, ma un modo di ripercorrere le imprese dei nostri antenati sui pedali, quando le strade non erano asfaltate e le bici non avevano cambi elettronici, pacchi pignoni a 12 velocità e freni a disco e vivere le radici dello spirito autentico della bicicletta.
Un percorso disegnato nel cuore della Toscana, con 212 km, di cui 145 di strade bianche e più di 4.000 m di dislivello con strappi che spesso superano il 15%, che i partecipanti devono percorrere su una bici “vintage” originali ed abbigliamento d’epoca.
Il nostro Massimo Bianchi, varesino di Buguggiate, domenica 2 ottobre ha portato a termine l’edizione 2022 di questa affascinante manifestazione. Ecco il racconto di come ha vissuto questa esperienza. L’entusiasmo che comunicano le sue parole è davvero coinvolgente.
Ciao Massimo, perché l’Eroica? Come ti è venuto in mente di provare questa esperienza?
Perché fa parte della nostra storia di appassionati della bicicletta, di malati del sudore e della fatica.
L’idea mi è venuta per caso, quando un amico ha trovato una bici anni ’70, neanche tanto vecchia.
Ho provato e mi sono appassionato a questo nuovo modo di pedalare. Con non poca presunzione, ho cercato di immedesimarti in quei campioni che hanno fatto grande il nostro sport, e così ho rivissuto le loro gesta e ripercorso le strade che loro hanno fatto grandi.
Ed ecco quindi che l’Eroica diventa a poco a poco una cosa che “devi fare”.
Non una granfondo normale, ma una corsa nella storia su una bicicletta ridotta all’essenziale, maledettamente scomoda, su strade sterrate, dove niente è facile, dove anche cambiare rapporto diventa un problema, dove le salite sono dei muri e frenare in discesa è un’impresa, dove alla fine diventi un tutt’uno con la bici al punto che ti devono quasi tirare giù.
Avevi già una bicicletta adatta per partecipare a questa granfondo oppure hai dovuto acquistarne una? Come hai fatto a trovarla?
Ho iniziato a pedalare solo nel 2009, prima di allora non avevo mai posseduto una bici.
Di bici “vintage” in realtà se ne trovano da tutte le parti, di tutti i prezzi. Il vero problema non è acquistarle, il vero problema è che tra tante devi trovare la TUA bici, quella che è in sintonia con te, come con la bicicletta che usavi da ragazzino per fare le prime gare oppure quella che usava il tuo papà.
Ne ho viste diverse, tutte belle, perfette e pronte con il timbro Eroica… ma no, troppo facile.
Alla fine, continuando a cercare, ho avuto la fortuna di trovare da un ex meccanico ciclista una bici anni ’70, semplice, con i suoi graffi e i suoi difetti, in buono stato ma tutt’altro che perfetta, una bici sulla quale potessi mettere le mani per sistemarla e per questo MIA.
Ho voluto a tutti i costi mantenerla originale così come era, con i tubolari, anche se tutti mi dicevano che avrei bucato, con i rapporti originali, anche se tutti dicevano che con il 44/28 avrei dovuto scendere sulle salite, con il suo bel nastro manubrio in plastica rosso, senza imbottiture.
Che differenze hai trovato passando da una moderna bici da corsa come la tua De Rosa SK ad una bici del passato?
C’è tanta differenza in termini di peso, ma soprattutto di maneggevolezza, affidabilità e sicurezza.
Sulla bici “vintage” non c’è nulla di facile. Dalla gestione del cambio che ti costringe a togliere le mani dal manubrio, alle leve dei freni scomode da raggiungere solo in presa bassa e che ti spaccano le mani, ai freni stessi, tutt’altro che reattivi e che ti costringono a pensarci ben prima se vuoi fermarti, alle gabbiette dei pedali, che se le stringi troppo non togli più il piede e cadi, mentre se le stringi poco ti scappa fuori il piede e cadi lo stesso.
I rapporti sono diversi. La mia monta un 52/44 con un pacco pignoni a 5 ingranaggi da 14 a 28 e la salita del Monte Sante Marie ha degli stappi al 18%, decisamente al limite per le mie gambe e il mio cuore da quasi sessantenne.
Insomma, come in tutte le cose, ci vuole un po’ di allenamento e di costanza.
Hai avuto un percorso di preparazione specifica a questo evento oppure hai semplicemente buttato il cuore oltre l’ostacolo e sei andato all’avventura?
Dopo l’Oetztaler a fine agosto ho avuto un mese di tempo per prepararmi e ne ho approfittato per mettere su qualche centinaio di Km.
Intanto testavo anche diverse soluzioni, sia per portarmi dietro un minimo di ricambi e accessori in una borsa/zainetto, sia per i pedali che mi facevano male sotto la pianta del piede.
In ogni caso con tutto quello che puoi pensare, gli inconvenienti ci sono comunque e devi metterli in conto. Le mani mi facevano un gran male, i piedi non ne parliamo, ho rotto un raggio che mi ha costretto a fermarmi all’assistenza meccanica e alla fine ho fatto quasi 140 km con la ruota posteriore storta. Questo mi ha un po’ rallentato soprattutto in discesa, ma alla fine sono arrivato.
Hai affrontato l’Eroica da solo o con qualche amico?
L’ho fatta con il mio amico Antonio.
Anzi a dire il vero l’idea è stata sua. Io ci avevo già provato nel 2015 con Dario Bocci, nostro compagno di squadra, dove causa meteo ero riuscito a fare solo il percorso da 135 km.
Così parlando con Antonio, è saltata fuori l’idea di farla. Detto, fatto.
Raccontaci le tue emozioni lungo il percorso
È un ciclismo diverso. Diverso da quello frenetico e caotico delle granfondo classiche.
Mi viene da dire un ciclismo più lento, più umano, ma non nel senso della fatica, quella c’è ed è anche infinita; è più umano nello spirito.
Una ragazza che spingeva la bici in salita mi dice: “che bravo che sei a farla senza scendere”.
Io mi fermo, scendo dalla bici e le rispondo: “non sono bravo, sono solo un po’ più allenato di te. Qui siamo tutti bravi, ci siamo alzati alle 3 di mattina, siamo partiti alle 5 e arriveremo tutti al traguardo, siano le 4 del pomeriggio o le 10 di sera”.
Questo è lo spirito dell’Eroica, ti riporta a episodi cavallereschi in cui il gesto atletico si trasforma in un mito, penso al passaggio della borraccia tra Coppi e Bartali.
Poi certo un sano agonismo fa sempre piacere, la voglia di fare un buon tempo anche se poi nessuno lo registra, c’è a prescindere.
Magari un giorno la rifarò. Non so se sarà lo stesso, ma una cosa è certa, il ciclismo ti regala un mix di emozioni, sensazioni, sentimenti unici, sempre diversi e per certi versi irripetibili.
Hai recentemente partecipato alla Oetztaler Radmarathon in Austria, quella che viene raccontata come la granfondo più dura del panorama europeo. Quali differenze hai trovato tra queste due manifestazioni? Alla fine quale è più dura?
Sono due corse completamente diverse, unite però da due cose. La prima è la grandezza delle emozioni che ti regalano e la seconda è la dipendenza.
Chi ha fatto l’Oetztaler lo sa: crea dipendenza. L’Eroica è uguale.
Guardando i dati delle due prove:
Oetztaler 232 km con 5.452 m di dislivello (questo secondo il mio GPS, visto che quest’anno ci sono state delle varianti che hanno aggiunto km e dislivello al percorso tradizionale).
Eroica 212 km con 4.037 m di dislivello.
Entrambe sono durissime però l’Oetztaler la interpreti da gara vera e propria, cercando di tirare al massimo ogni centimetro di salita, discesa e pianura. L’Eroica è lei che ti tira, ti comanda, con i suoi sterrati, le sue salite e discese fatti con una bici difficile da gestire.
Difficile giudicare, però credo che l’Oetztaler rimanga il numero uno, la più dura.
Tornerai all’Eroica in futuro?
D’istinto dico di sì, la rifarei.
Però rispetto a quella che era, tutto il contorno è diventato un po’ troppo commerciale. Spero non peggiori e che rimanga sempre l’Eroica che ho imparato a conoscere.
Del resto anche l’Oetztaler spostata a inizio luglio non sarà più la stessa cosa. Mi mancherà l’incognita del meteo sempre instabile a fine agosto e la neve sul Rombo.